“Al termine di questa celebrazione desidero ringraziare tutti voi e chi, pur non essendo fisicamente presente, ci ha aiutato, sostenuto, accompagnato così da rendere possibile questo monastero e l’evento dell’inaugurazione. La lista dei grazie sarebbe immensamente lunga e anche così non arriverebbe a includere tutti.
Mi limito a ringraziare Dom José Cordeiro per la fedeltà del suo sostegno alla fondazione, il Vescovo di questa Diocesi Nuno e tutti i pastori e padri (ricordo qui per tutti solo padre António, amato cappellano per le sorelle) che con la loro presenza testimoniano come il monastero di Palaçoulo trova il suo luogo e il suo cammino all’interno della Chiesa portoghese. Ringrazio le autorità, che ci onorano con la loro presenza qui, i monaci e monache di alcune comunità del nostro Ordine, i religiosi e religiose portoghesi.
Il monastero, così come oggi possiamo vederlo, ha un volto suo proprio, un volto che la professionalità (e l’amicizia) con l’equipe degli architetti, che ringrazio vivamente, insieme agli ingegneri, ai tecnici, ai lavoratori dell’impresa non solo ha reso abitabile, ma bello.
Il monastero è una Casa, la Casa di Dio, in cui tutto, a partire dall’architettura, rimanda a Lui. Il centro strutturale è il chiostro, attorno al quale si incontrano i luoghi che, secondo la Regola di san Benedetto, devono favorire la preghiera di lode e di intercessione, ciò che san Benedetto chiama l’Opus Dei, e orientare il cuore alla ricerca di Dio nella conversione e nella comunione fraterna.
Benedetto sa che la persona cresce e si plasma secondo l’immagine di Dio in un cammino di comunione e di fraternità. Per questo gli spazi individuali, la cella dove si dorme, sono ristretti ed essenziali, mentre gli spazi dedicati alla vita comune sono ampi e accoglienti, pur nella loro semplicità, proprio perché il monaco vive nella comunità e appartiene alla comunità.
Il monastero è anche un luogo di lavoro, di operosità, di collaborazione e responsabilità condivisa, perché, come San Benedetto dice, “allora sono veri monaci, se vivono del lavoro delle proprie mani”.
Il rilievo dato alla vita cenobitica nulla toglie a un indispensabile cammino di silenzio e solitudine che accompagna la nostra ricerca di Dio e la presa di coscienza della nostra verità di fronte a Lui. Vivere all’interno del monastero, alla presenza di Dio e nella comunione tra noi, se apparentemente ci separa dal mondo circostante, in realtà ci pone al cuore di esso, come segno.
Giungendo al Monastero, dalla strada che conduce qui dal paese, l’impressione è di essere di fronte a una fortezza costruita su un punto alto della collina. Sì, il monastero è una Casa fatta per rimanere e per siglare il patto di fedeltà che la comunità fondatrice vuole vivere con un luogo, con una storia, con la Chiesa. Siamo qui per restare, vogliamo essere un luogo di vita e di memoria viva, un segno della fedeltà di Dio con gli uomini, dell’alleanza di pace che Dio offre a chi a Lui si avvicina.
Ma tutto questo sarebbe nulla, o pura utopia, se la nostra volontà di bene non trovasse il suo cuore pulsante in Colui che è il tutto in tutte le cose. L’incendio che, al di là di ogni previsione ha colpito la foresteria lo scorso gennaio, è venuto proprio a ricordarci che, tutto il nostro fare e queste mura, sarebbero un nulla se non ci fosse Cristo, vivo ed eucaristicamente presente in mezzo a noi.
Noi vogliamo testimoniare proprio questa Presenza. Per questo il nostro restare vuole essere anzitutto un restare orientate con lo sguardo a Colui che è la Vita della nostra vita.
Grazie.”
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